martedì 5 febbraio 2008

Jianshui

Partiamo da Jinghong alle dodici di ieri, lasciandoci alle spalle una bellissima giornata da guardare attraverso il finestrino.. Diciotto ore ti logorano porcamiseria, è una di quelle cose che non vorresti siano vere, anche se poi le ore di viaggio si riducono a quindici, anche se la cuccetta dell'autobus non è neanche per scherzo paragonabile al sedile rigido di un treno, anche se la prima ora ti vola via veloce, grazie alla novità della situazione.

Guardi la mappa, vedi la strada che tutto sommato non è poi malaccio e ti domandi come cazzo fa un autobus a metterci così tanto tempo per arrivare.. Poi, lasciata Jinghong da qualche ora, vedi che la strada si stringe, che si fa tortuosa, che il pulmino pure in discesa non supera i cinquanta chilometri orari e che una cazzo di galleria questi ambientalisti cinesi proprio non l'hanno saputa costrure da queste parti..






Arriviamo a destinazione alle cinque del mattino, sbattuti come al solito ma con la notte ormai alle spalle. Siamo a Jianshui, una città "cinese" a metà strada fra Jinghong e Kunming (ma leggermente spostata ad Est). Dico cinese perchè non mi era mai capitato di vedere una città particolare come questa. Non è il solito villaggetto di montagna dove non c'è nient'altro che fango e case basse, non è neanche la Pechino delle prossime Olimpiadi, puttana delle multinazionali di mezzo mondo. Jianshui sembra un esperimento costruito alla larga dai turisti, ancora pochi da queste parti per via della scarsità di vie di comunicazione alternative alla strada. Magari lo è davvero un esperimento voluto dal governo per sviluppare una "cinesità" senza influenze dall'esterno.

Jianshui è una "cittadina" di cinquecentomila abitanti immersa in un compromesso tra passato e futuro. O per lo meno è quello che sembra. Fa strano non vedere un solo marchio straniero in una città come questa, non un negozio Nike, non un onnipresente Mc Donalds. Al loro posto c'è un'infinità di negozi-surrogati che vendono di tutto e di più, dai marchi puramente cinesi alle copie sfacciate (ma non identiche) delle firme internazionali. Jianshui è un piccolo "museo a cielo aperto", definizione esagerata per raccontare in due parole una cittadina ricca di testimonianze del passato più o meno autentiche. La via turistica è costellata da edifici tradizionali in parte ricostruiti da zero, ma ovunque se ne vedono di veri, con i tetti incurvati, l'erbaccia che cresce tra i coppi, le pareti di terra e il legno a vista.




Nella foto: bambù per fumare in vendita per la strada

E' come se in questo posto la Cina stessa si sforzasse di essere sè stessa, cercando di tirar fuori le proprie capacità quanto a creatività e intraprendenza. Chissà, magari è qualcosa destinato ad avere successo, ma ci credo poco.. Tra un pò anche da queste parti si stancheranno di questo puritanesimo da comunità Amish, completeranno l'allaccio autostradale e ferroviario e si chiederanno perché non possono essere americani pure loro. Come il resto dei cinesi che vive in Cina.

Magari era così anche Pechino fino a qualche decennio fa, con scorci di normalità tra le vie cittadine che ti danno l'impressione di vivere davvero dall'altra parte del mondo, senza l'aria preconfezionata dei centri commerciali, senza l'ansia da prestazione per sembrare la città "civile" che non è ancora, senza la sensazione del turista a Disneyland, con la gente che ti guarda come un pollo da spennare a tutti i costi. In inglese.

Da ogni parte si scorge una Cina dignitosa, non più puttana dei turisti a cui propinare le mascotte delle Olimpiadi.. A Jianshui giri per strada e sei invaso dall'odore forte del carbone, quello che non si sente più a Pechino, quello che fornisce il 70% dell'energia a questo Paese. Il carbone serve a scaldare le case, a scaldare il cibo, a dare energia elettrica e a far funzionare una città. Per il carbone, ogni anno muoiono migliaia di operai cinesi nelle miniere-trappole-per-topi. A Pechino con la scusa delle Olimpiadi se lo stanno dimenticando piano piano.. tra un pò non si vedrà più nessuno trainare un carretto di blocchi neri da bruciare nelle stufe, ma è questa l'altra Cina di oggi e non il condizionatore sparapolvere che spunta fuori da ogni finestra della città.
Jianshui è una città viva, una città vera, con la gente che non si fa problemi a sputare per terra, a girare con un pollo vivo o morto in mano (e il sacchetto della spesa in quell'altra) o a lavorare sul serio da facchino col bambù senza dover essere un'attrazione turistica. Perchè loro si limitano a vivere, non ad apparire.




Incenso al tempio buddhista. Incenso della Festa di Primavera per la strada.

Ma se qualcuno mi chiedesse se in un posto del genere ci vivrei, molto probabilmente risponderei di no. Si fa presto a criticare la modernità della Capitale, ma poi è difficile abituarsi alla Cina vera, con i ristoranti-bettole da diarrea assicurata (拉肚子的地方), senza l'alternativa di un posto "pulito" (non solo nei tavoli!), senza il KFC che ti salva la vita (o te la accorcia), senza il menù in inglese che ti propongono gli adescatori delle trappole per turisti a Sanlitun.

Magari è solo una questione di abitudine.. eppure il mio stomaco ne sta mangiando di merda in questi mesi..

1 Comment:

Anonimo said...

SEI STIMABILISSIMO MICHELE! UN ABBRACCIO!!!!!!!!!!!!!!!!!
STEFANO