mercoledì 23 gennaio 2008

Hong Kong


Che bello questo di passare la frontiera "a piedi", senza il balzo degli aerei che ti porta da un ambiente asettico all'altro, che non ti fa sentire il viaggio, il passaggio, lo spazio, la distanza.

La Hong Kong di oggi è solo un puntino sulla carta geografica della Cina, ma è impossibile per me, oggi, poter percepire appieno cosa è stata fino a trent'anni fa Hong Kong per i cinesi.. Un sogno senz'altro, lo era anche per gli occidentali, ma è stata soprattutto un'utopia, un'assurdità, un artificio: l'eccesso messo al fianco di un altro eccesso, un'isola capitalista in un universo comunista, in bilico per anni prima di ricadere in un mondo che ha finito per assomigliarle sempre di più.

Entro in metropolitana e subito vengo assalito da una strana sensazione: sono in Cina, come no, ma mi trovo in un lembo di terra che non gli assomiglia manco per il cazzo.. l'asfalto è nerissimo e rugoso come quello che si vede nelle strade di Londra, e ad ogni incrocio vedo perfino dei Belisha Beacon lampeggiare.. Anche insegne stradali mi stupiscono ed incuriosiscono: leggo i cartelli stradali e sono nomi inglesi, ne leggo altri e mi sembrano assurdi, le scritte sono quasi illeggibili, la pronuncia cantonese non corrisponde al mandarino, JiuLong (nove dragoni) diventa Kowloon, "xie xie" (grazie) è uno sghignazzo cantonese che suona come " 'ngoin' " e tra un pò saprò anche che wikipedia e blogspot si vedono tranquillamente senza dover incappare nella censura...
Non sono in Cina.

Guardo fuori dal finestrino, è notte. La segnaletica luminosa degli incroci mi riporta alla mente Londra, non fosse per le palme lussureggianti e gli alberi in fiore che mi ricordano di essere da tutt'altra parte del mondo; anche le auto hanno la guida a sinistra, scorgo autobus a due piani, l'inglese prevale nei cartelloni pubblicitari così come l'ordine e la pulizia prevalgono per le strade. Sono sconcertato.

La TV del metrò trasmette le notizie economiche in cantonese, magari anche i contenuti delle notizie mi lascerebbero di stucco se sapessi che non si tratta delle solite quattro barzellette raccontate dal "Partito". O magari è così anche qui, ma non ci credo più di tanto.

Dopo mesi e mesi filati di Cina sento, al di qua del confine, una strana sensazione di quasi-libertà che si coglie nel modo di vestire e di comportarsi della gente, nei loro tratti, così abituati alla sicurezza ovattata di una dittatura finanziaria fondata sul commercio: così mi appare Hong Kong e così me la immagino nei fatti, al di là dell'apparente normalità della periferia che che si scorge dal finestrino nel tragitto verso il centro.



Hong Kong, quella vera e propria, è un isolotto collinare particolarmente scomodo per costruire una metropoli di acciaio e cemento. Ma loro l'hanno fatto, e non potevano fare altrimenti.
Ogni sera, le facciate dei grattacieli che guardano verso il Peninsula Hotel si accendono come un immenso albero di Natale, sfoggiando l'essenza così effimera eppure così spettacolare di una città artificiale dal nome evocativo. Nient'altro che lampadine e cemento, lo so, ma non posso fare a meno, per un attimo, di godermi quel momento, con l'aria calda che arriva dal mare e i flash della gente che cerca di immortalare quel pezzo di mondo così spettacolare.

Ma l'artificialità sta solo in quel tratto, in quella città verticale per pochi ma non per tutti.. Milioni di abitanti vivono e brulicano altrove, a Kowloon e nei Nuovi Territori, lontani dal giocattolo di lampadine e cemento fatto per i ricchi, con le loro macchine che di notte sfrecciano a tutta velocità sulle autostrade cittadine semideserte, sensi unici e cavalcavia dall'asfalto nerissimo, piste da divertimento per le costose auto d'importazione che si snodano - sospese - attraverso i grattacieli andando in sù verso il Peak, da cui si gode la vista della baia.



Hong Kong, puttana di quello e di questo impero, una perla occidentale in mezzo all'oriente, un pezzo di terra plasmato ad immagine e somiglianza del nostro mondo, studiato per accogliere nel più confortevole dei modi chiunque voglia vivere la sua vita da queste parti.

Mi immagino giovani rampanti in cerca di successo, cocainomani occidentali incravattati esausti dal lavoro, mi immagino immigrati clandestini provenienti dal sudest asiatico, puttane cinesi del passato, troie da ognidove del presente, sarti indiani e venditori di perle e gioielli, generali e ammiragli imperiali, commercianti di seta e di droga.. mi immagino quanti inglesi dalla madrepatria abbiano sempre avuto questa "alternativa" alle loro vite, magari per trovarvi la fortuna, magari per lasciarsi rovinare dalle sue trappole.



Quante alternative alla solita vita.. e quante opportunità per chi era inglese ieri e rampante oggi, con l'era coloniale al tramonto ma con i tanti legami commerciali e culturali che ancora oggi fanno della Gran Bretagna un Paese grande ed influente nel mondo.
Quanti inglesi, americani e australiani vivono e lavorano quì! Non c'è nulla di strano - per loro - nel dirigere un'azienda, essere docente universitario o collaborare in qualche associazione di scambio culturale ad Hong Kong. Per mia natura non riesco ad immaginare - in questo posto - un italiano diverso da un turista con la bocca aperta e il naso all'insù. Come me.
Questione di orizzonti, presumo.
Nessuno mi ha mai messo la pulce nell'orecchio quando ero piccolo. Al massimo avrei potuto prendere in considerazione i legami storico-culturali con la Libia..

Non so se tutto ciò sia una fortuna, io lo vedo semplicemente come una carta in più da giocare, quella delle colonie è stata un'epoca di violenze e di invasioni ma mi chiedo - nel frattempo - cosa abbiamo potuto combinare noi italiani, che più che conquistare ci siamo lasciati sempre conquistare da invasori, mafiosi e politici vari della penisola.

Non è una colpa se l'Italia non ha mai avuto le sue colonie (vere) nel mondo, per carità.. probabilmente è una cazzata in meno che ha fatto il nostro Paese, però non riesco a non pensare a quanto ampi possono essere - ancora oggi - gli orizzonti geografici e culturali di un inglese, di uno spagnolo, di un portoghese o di un francese rispetto a quelli dell'italiano medio. Magari non sono così ampi come credo, però a veder bene cosa siamo diventati..

Noi che non sappiamo guardare più in là del nostro giardinetto, figuriamoci più in là delle Alpi.. noi che ci appassioniamo alle litigate di Maria de Filippi e di "Buona Domenica" in TV, che facciamo pascolare maiali per evitare la costruzione di una moschea, che ci scandalizziamo alla normalità del mondo moderno, ai suoi mutamenti, alla varietà dei suoi abitanti. Come possiamo noi italiani capire - o solo conoscere - un mondo che si trova al di là della nostra Italietta?
Ora capisco come purtroppo non ci siamo mai riusciti.

In Francia, durante le previsioni del tempo, ti dicono - fra l'altro - che tempo fa nell'isola della Reunion! Abbiamo parlato parecchio di queste cose io e Lionel, compagno di classe (e di viaggio) francese cresciuto lì, in mezzo all'Oceano Indiano e discendente dei primi colonizzatori di quell'isola, allora disabitata. Lui è il risultato di questa storia coloniale, non sfoggia né si stupisce ormai più delle sue origini ma ne è consapevole e ha la coscienza della grandezza del suo Paese, della diversità culturale e l'abitudine alle conseguenze che la storia ha portato ovunque come pure dalle sue parti.
Lavoratori cinesi, discendenti cinesi, lavoratori indiani, discendenti indiani, lavoratori africani, discendenti africani. Ora la Reunion è Francia, ma i problemi di razzismo che affliggono le banlieue della madrepatria quasi non esistono.

E ancora, vede una palma e ti dice "ah, quella è la Palma del Viaggiatore!". Per un italiano quella è UNA palma. Una qualunque. Per un francese quella è una palma che si chiama così perché la sua struttura a ventaglio permette di raccogliere l'acqua piovana dalle foglie fino al tronco.. E i colonizzatori francesi non morivano di sete!

Finezze, per carità, ma è dalle piccole cose che si nota la differenza..

1 Comment:

Anonimo said...

Hello. And Bye.